Maltrattamenti in famiglia e atti persecutori: profili distintivi

22 Dicembre 2023

Frequente, nella casistica giudiziaria, è la contestazione dei reati indicati in epigrafe, individuati e disciplinati rispettivamente dagli artt. 572 e 612 bis c.p.

Entrambe le previsioni incriminatrici sono state oggetto di plurimi interventi legislativi di aggiornamento, specificamente mirati ad approfondire la tutela della persona offesa e inasprire il trattamento sanzionatorio.

Il tratto comune a entrambe le previsioni incriminatrici – rappresentato dalla reiterazione delle condotte offensive ai danni di soggetti legati all’agente da vincoli attuali o pregressi di prossimità relazionale, assidua frequentazione e intimità di rapporti – hanno indotto la giurisprudenza a interrogarsi e profilare soluzioni alla obiettiva necessità di distinguere gli ambiti applicativi di ciascuno dei menzionati reati.

In particolare, nel quadro normativo predisposto dal legislatore, gli interventi interpretativi si sono confrontati con i profili evolutivi del costume sociale e con la valorizzazione dei legami interpersonali anche fuori dal vincolo matrimoniale, manifestatasi nella progressiva diffusione e regolamentazione di differenti forme di stabile unione fra le persone, anche dello stesso sesso.

Pertanto, l’ elaborazione giurisprudenziale di progressiva equiparazione della condizione di convivenza di fatto con quella derivante dal vincolo matrimoniale, si è trasfusa nella previsione di letterale equiparazione di cui all’art. 572 c.p,. sia nell’intitolazione della norma ( maltrattamenti contro familiari e conviventi ) sia nella descrizione della condotta maltrattante, della quale soggetto passivo risulta indifferentemente ( fra gli altri ) “…una persona della famiglia o comunque convivente …“.

La definizione di convivenza si è sintetizzata in una comunione materiale e spirituale di vita, a prescindere dall’appartenenza di sesso ( rilevante invece per le unioni civili e per il matrimonio ), spontanea nell’insorgere e revocabile, non incardinata in vincoli giuridici dai quali ( come nel matrimonio o nelle unioni civili ) conseguono diverse soglie di tutela in conseguenza delle scelte operate dal legislatore.

Il reato di atti persecutori di cui all’art. 612 bis c.p., a sua volta, prevede al secondo comma l’equiparazione in termini sanzionatori delle condotte poste in essere dal coniuge ( attuale, separato o divorziato) ovvero dal soggetto con cui la persona offesa “… è o è stata legata da relazione affettiva”.

La struttura della fattispecie come reato di evento ( prevista al primo comma del delitto in esame), delinea l’ autonomo ambito di operatività del predetto reato di atti persecutori, nei confronti dell’ulteriore reato di maltrattamenti di cui all’art. 572 c.p.; tuttavia, ove in concreto la condotta criminosa sia realizzata da soggetto legato alla vittima da rapporto di coniugio (per l’appunto attuale o pregresso, rilevando a tal fine sia separazione che divorzio ) ovvero da attuale o pregressa relazione affettiva, entrambe le fattispecie incriminatrici paiono astrattamente sovrapponibili.

La soluzione del predetto ipotizzabile concorso apparente di norme è disciplinata dal legislatore, che esplicitamente prevede, all’art. 612 bis comma 1 c.p., la clausola del principio di specialità, in base alla quale ricorre il delitto di atti persecutori ove non risulti integrata altra più grave previsione incriminatrice.

Compete dunque al giudice l’accertamento nel caso concreto, spettando al Magistrato individuare i tratti distintivi significativi per il riscontro, nella fattispecie al suo esame, dell’una ( 612 bis c.p. ) o altra ( 572 c.p.) disposizione.

In un primo tempo, la giurisprudenza si attestava sull’accertamento della sussistenza o meno del requisito della convivenza, escludendo che ricorresse la previsione di cui all’art. 612 bis cp quando essa caratterizzava il rapporto di coppia.

Pertanto, in tal caso, la disposizione correttamente applicabile ( in ossequio al principio costituzionale di legalità di cui all’art. 25 comma 2 Costituzione) risultava essere l’art. 572 c.p.

In tempi più recenti, recependo diffuse evoluzioni delle relazioni interpersonali, la giurisprudenza ha ampliato la definizione di convivenza, fino a comprendere nel suo alveo anche tutte quelle situazioni nelle quali, pur mancando per svariate ragioni la condizione di coabitazione della coppia, le due persone rispettivamente coinvolte nel reato (quale agente e persona offesa) non abbiano comunque fra loro interrotto e definitivamente cessato la sottostante reciproca comunione di vita e l’intento di condivisione.

In applicazione di tale criterio interpretativo, pertanto, troverà applicazione il reato di maltrattamenti laddove il giudice verifichi una duplice condizione : che ricorra, nella situazione concreta al suo esame, il requisito della convivenza ( nell’ampia accezione sopra prospettata ) e non invece quello di una semplice relazione affettiva ; che detta convivenza non risulti effettivamente interrotta.

Soltanto in tale residuo caso, dunque, la fattispecie concreta sarà invece ricondotta al reato di atti persecutori di cui all’art. 612 bis c.p.

( in senso conforme Cassazione penale sez. VI – 15.09.2022 n. 9187 )